Di chi ti fidi quando nessuno guarda? Cybersecurity, etica e responsabilità


La cybersecurity italiana è sempre più dipendente da tecnologie e aziende israeliane.
Una scelta che solleva interrogativi non solo tecnici, ma soprattutto etici.
In un mondo dove le infrastrutture digitali sono la nuova frontiera del potere, dobbiamo chiederci: a chi stiamo dando le chiavi di casa?
E cosa possiamo imparare, anche in azienda, su fiducia, controllo e responsabilità?


La sicurezza digitale è una questione geopolitica, non tecnica


Quando si parla di cybersecurity, ci si concentra spesso su virus, firewall, protezione dei dati.
Tutte cose importanti.
Ma la vera domanda, quella che pochi fanno, è: di chi sono gli strumenti che usiamo per proteggerci?


Negli ultimi anni, molte delle tecnologie adottate da enti pubblici e aziende italiane (anche critiche) sono sviluppate, mantenute o controllate da realtà con sede in Israele.
Questo significa che un pezzo consistente della nostra sicurezza digitale è in mano a una nazione terza, con interessi politici, economici e militari propri.


A livello globale, Israele è riconosciuta come potenza tecnologica, soprattutto in ambito militare e di sorveglianza.
Ma è anche un Paese sotto accusa da parte di molti osservatori internazionali per le sue politiche nei territori occupati.
E qui la questione si fa più complessa: possiamo davvero parlare di etica e diritti umani in un mondo in cui le nostre infrastrutture digitali sono costruite con strumenti provenienti da chi viene accusato di violare quei diritti?


Non si tratta di demonizzare un Paese o santificarne un altro.
Si tratta di fare scelte consapevoli.
Perché dietro ogni software ci sono valori, interessi, logiche.
E se deleghiamo la nostra sicurezza, dobbiamo essere certi di averlo fatto con lucidità, non per comodità.


Fiducia, potere e infrastrutture: quando dai le chiavi di casa, scegli anche chi può entrare


Immagina di affidare la tua sicurezza domestica a un'azienda.
L’allarme, le telecamere, il controllo da remoto.
Poi scopri che quell’azienda ha rapporti con governi coinvolti in conflitti, o che vende sistemi di sorveglianza a regimi autoritari.
Come ti sentiresti?


Nel digitale accade la stessa cosa.
Ogni volta che scegliamo una tecnologia, stiamo dando le chiavi dei nostri sistemi a qualcuno.
E dobbiamo chiederci: chi è? Quali sono le sue politiche? Qual è la sua etica?


Nel mondo fisico, il concetto è intuitivo.
In quello digitale, molto meno.
Ma il rischio è lo stesso: che la nostra casa, le nostre aziende, i nostri dati diventino accessibili a chi ha agende che non conosciamo.


Delegare la cybersecurity significa fidarsi.
E la fiducia, oggi più che mai, non può essere cieca.
Deve essere informata, lucida, costruita su basi solide.
Non solo su convenienza economica o "brand reputation".


Anche in azienda, scegliere chi protegge i dati è una responsabilità politica


Nessuna azienda è un'isola.
Ogni impresa è parte di un tessuto sociale, culturale, economico.
E ogni scelta tecnologica ha impatti che vanno oltre il server o il firewall.


Quando scegliamo un fornitore per la sicurezza dei dati, stiamo anche scegliendo con chi costruire una relazione di lungo periodo.
E questa relazione comporta dipendenza, fiducia, accesso.


Nel contesto attuale, non possiamo più permetterci di trattare queste scelte come puramente tecniche.
Ogni partner tecnologico porta con sé una visione del mondo.
Alcuni partner mettono la protezione dell’utente al centro.
Altri mettono il profitto.
Altri ancora, la sorveglianza.


Come imprenditori, abbiamo la responsabilità di scegliere con consapevolezza.
Non solo per proteggere i dati, ma per proteggere i valori che vogliamo trasmettere.


Se l'azienda che gestisce la nostra cybersecurity supporta governi che reprimono minoranze, sorvegliano i cittadini o violano diritti, è legittimo domandarci: vogliamo essere parte di quella catena?


Genocidi, conflitti, diritti: il digitale non è neutro (nemmeno il tuo software)


Viviamo in un mondo iperconnesso.
Pensiamo che il digitale sia neutro, una semplice infrastruttura.
Ma non lo è.


Il digitale è fatto da persone, aziende, decisioni.
E ogni tecnologia porta con sé una visione del mondo.
Il software non nasce nel vuoto: viene pensato, scritto, testato e distribuito da persone che appartengono a una cultura, a un sistema politico, a un contesto economico.


Oggi, mentre condanniamo pubblicamente genocidi, guerre e violazioni dei diritti, spesso continuiamo a utilizzare strumenti prodotti da chi alimenta quelle stesse dinamiche.
È una contraddizione che va affrontata.


Anche nelle piccole scelte quotidiane: che sistemi uso?
Di chi sono?
Cosa rappresentano?


Il digitale è la nuova infrastruttura critica del mondo.
Le scelte che facciamo oggi avranno impatti profondi domani.
Per questo dobbiamo iniziare a guardare oltre la funzione, e chiederci: che valori sto sostenendo con questa tecnologia?

C'è sempre un'alternativa: costruire soluzioni etiche, locali e affidabili


La buona notizia è che alternative esistono.
Esistono realtà italiane, europee, indipendenti, che sviluppano soluzioni di cybersecurity affidabili, trasparenti, etiche.


Sì, forse costano un po' di più.
Sì, forse richiedono più confronto.
Ma la differenza la fanno le persone.
E scegliere un partner che puoi incontrare, che parla la tua lingua, che condivide la tua cultura aziendale, non ha prezzo.


In Tecnotrade, abbiamo sempre scelto la via più lenta ma solida: relazioni dirette, progetti costruiti insieme, tecnologie trasparenti.
Nessuna black box, nessun server lontano mille chilometri.


Il futuro è fatto di scelte.
E ogni scelta è un messaggio.
Quando scegli a chi dare le chiavi della tua azienda, stai decidendo anche che tipo di mondo vuoi costruire.