Ieri OpenAI ha compiuto dieci anni.
Dieci anni non sono nulla, se guardi la storia dell’umanità.
Dieci anni sono tutto, se guardi cosa è successo nel nostro quotidiano.
L’intelligenza artificiale oggi è ovunque.
Non come promessa futuristica, non come demo da palco, non come esperimento da laboratorio.
È nei telefoni, nei computer, nei software che usiamo per lavorare, scrivere, progettare, vendere, decidere.
È entrata nelle aziende, spesso senza chiedere permesso.
Eppure, in Italia, continuiamo a guardarla con sospetto.
Un po’ come si guardavano le prime automobili all’inizio del secolo scorso.
Troppo veloci. Troppo rumorose. Troppo pericolose.
Meglio la carrozza. Meglio il cavallo. Almeno lo conosciamo.
La storia non cambia mai davvero. Cambiano solo gli strumenti.

Sam Altman, nel post celebrativo dei dieci anni di OpenAI, lo dice in modo disarmante e umano:
“OpenAI has achieved more than I dared to dream possible; we set out to do something crazy, unlikely, and unprecedented.”
Un’idea folle. Improbabile. Senza garanzie.
Portata avanti da quindici nerd, giovani, ottimisti, spesso fraintesi, ma con una convinzione profonda: valeva la pena provarci.
Questa è una parte che molti ignorano quando parlano di intelligenza artificiale.
Non è nata da una multinazionale cinica.
È nata da persone che hanno deciso di lavorare duramente su qualcosa che contava, anche con una bassissima probabilità di successo.
Altman racconta un dettaglio potentissimo.
Guardando le foto dei primi anni, non vede solo volti giovani.
Vede un’energia irragionevole. Ottimismo. Felicità.
La sensazione di stare costruendo qualcosa che poteva piegare, anche solo di poco, l’arco della società.
E qui arriva il primo punto scomodo.
L’intelligenza artificiale non è diventata pervasiva perché qualcuno l’ha imposta.
È diventata pervasiva perché funziona.
Perché risolve problemi reali.
Perché fa risparmiare tempo.
Perché amplia possibilità.

Dal 2017 in poi, OpenAI ha iniziato a toccare con mano qualcosa di diverso.
Risultati fondativi.
Il reinforcement learning portato a scale mai viste prima.
Il famoso “unsupervised sentiment neuron”, dove un modello linguistico non si limita a replicare sintassi, ma inizia a comprendere semantica.
E soprattutto, l’allineamento ai valori umani, ancora rudimentale, ma reale.
Poi arriva il punto di svolta.
Tre anni fa nasce ChatGPT.
E improvvisamente il mondo se ne accorge.
Altman lo dice chiaramente:
“Questa tecnologia è stata integrata nel mondo a una velocità e a una scala che nessun’altra tecnologia aveva mai avuto prima.”
Non è un’iperbole. È un dato di fatto.

Da lì in poi, tutto accelera.
GPT-4 rende l’idea di una intelligenza generale non più una follia teorica, ma una possibilità concreta.
E con l’accelerazione arrivano responsabilità, stress, decisioni complesse, errori inevitabili.
Qui c’è un altro passaggio che in Italia tendiamo a ignorare.
OpenAI sceglie la strada dell’iterative deployment.
Rilasciare presto. Rilasciare spesso.
Permettere alla società e alla tecnologia di evolvere insieme.
È stata una scelta criticata.
Oggi è diventata uno standard.
E mentre il mondo corre, noi restiamo spesso fermi a discutere se “sia giusto” usare l’intelligenza artificiale.
Se “sia etico”.
Se “ruberà lavoro”.
Domande legittime.
Ma poste con vent’anni di ritardo.
La verità è semplice e poco consolante:
Chi non impara a usare questi strumenti, verrà superato da chi li usa meglio.
Non dall’intelligenza artificiale.
Dalle persone che la sanno integrare.
Altman afferma una frase che dovrebbe far tremare molte certezze:
“Oggi abbiamo un’AI che può fare meglio della maggior parte delle nostre persone più intelligenti nelle competizioni intellettuali più difficili.”
E aggiunge che nei prossimi dieci anni arriveremo quasi certamente alla superintelligenza.
Questo non significa che le macchine diventeranno “più importanti” delle persone.
Anzi.
Significa che le persone che sapranno usare bene queste macchine diventeranno molto più potenti.
E qui parlo da Tecnotrade.
Da chi lavora ogni giorno con aziende italiane.
Da chi vede imprenditori brillanti frenati più dalla paura che dalla mancanza di visione.
In Italia l’intelligenza artificiale viene ancora vissuta come una minaccia esterna.
Come qualcosa da normare prima ancora di comprendere.
Come un rischio, non come una leva.
Esattamente come l’automobile rispetto alla carrozza.
Solo che questa volta non stiamo parlando di spostarsi più velocemente.
Stiamo parlando di pensare meglio.
Di decidere meglio.
Di lavorare meglio.
Altman chiude il suo messaggio con una gratitudine che pesa come un macigno:
Senza utenti e aziende che hanno creduto in OpenAI quando era ancora un salto nel buio, oggi sarebbe solo una tecnologia in laboratorio.
Ed è qui che si gioca la partita vera.
Non tra chi ama o odia l’intelligenza artificiale.
Ma tra chi ha il coraggio di sperimentare e chi aspetta che qualcun altro decida per lui.
Il futuro, dice Altman, “sarà strano”.
E ha ragione.
Ma sarà strano soprattutto per chi continuerà a difendere la carrozza, mentre il mondo corre già sull’autostrada.
L’intelligenza artificiale non è una moda.
Non è un hype.
Non è una scorciatoia.
È un nuovo strato della realtà.
Ignorarlo non lo farà sparire.
Capirlo, invece, può fare tutta la differenza tra restare fermi e costruire qualcosa che conta davvero.
E come dieci anni fa per OpenAI, anche oggi vale la stessa regola semplice e brutale:
Vale la pena provarci. Anche se fa paura. Anche se non è garantito il successo.
L’intelligenza artificiale non va “installata” tutta insieme.
E' un equivoco di fondo che continuiamo a vedere ogni giorno.
Non è un interruttore on/off.
Non è un progetto monolitico, costoso e traumatico.
L’AI funziona davvero quando entra in piccole parti dei processi quotidiani, quasi in punta di piedi.
Un’email che si prepara in metà tempo.
Un report che si costruisce partendo dai dati giusti.
Un controllo in più prima di una decisione importante.
Un flusso che oggi è manuale e domani diventa automatico senza stravolgere nulla.
Noi in Tecnotrade lo facciamo già, ogni giorno.
Non parliamo di teoria, ma di integrazioni concrete, misurabili, che liberano tempo e riducono attrito.
Piccoli innesti intelligenti che, sommati, cambiano radicalmente il modo di lavorare.
Se ti va di capire da dove partire, senza slogan e senza promesse miracolose, parliamone davanti a un caffè.
Mezz’ora è spesso più che sufficiente per capire se e dove l’intelligenza artificiale può davvero fare la differenza anche nel tuo lavoro.