Il Ponte sullo Stretto di Messina è l’esempio perfetto di come decisioni strategiche possano essere prese senza un’analisi reale delle priorità.
Lo stesso accade ogni giorno nelle aziende, dove investimenti milionari vengono destinati a progetti spettacolari ma inutili, mentre i problemi veri restano irrisolti.
E il conto, alla fine, arriva sempre.
Quando la strategia ignora la realtà: il caso del Ponte sullo Stretto
Il Ponte sullo Stretto di Messina è un’idea che si trascina da decenni.
Politici di ogni colore lo hanno promesso, inserito nei programmi, presentato come simbolo di progresso e di “visione”.
Il problema?
Che la Sicilia e la Calabria non mancano di un collegamento fisico: mancano di infrastrutture funzionali.
Strade dissestate, ferrovie obsolete, porti che non rispondono alle esigenze moderne. Costruire un ponte in questo contesto significa mettere un fiocco dorato su una scatola vuota.
Questo meccanismo – privilegiare il progetto di facciata rispetto alla soluzione dei problemi reali – non è solo una caratteristica della politica italiana.
Lo vedo spesso anche nel mondo delle aziende.
È la sindrome del “facciamo qualcosa di grande per dimostrare che stiamo innovando”, senza prima sistemare le basi.
Il risultato è un’opera imponente che, in assenza di un contesto pronto a sostenerla, diventa un monumento allo spreco.
Nel caso del Ponte, la logica appare ancora più distorta se pensiamo alla spesa: miliardi di euro, quando con una frazione di quella cifra si potrebbero modernizzare porti e linee ferroviarie, migliorando davvero la vita di chi viaggia e lavora in quelle regioni.
È un errore di prospettiva: concentrarsi su ciò che “fa notizia” invece di ciò che ha impatto reale.
E proprio come nel caso di una grande infrastruttura inutile, anche in azienda quando si ignora la realtà quotidiana e si pianifica senza conoscere i veri colli di bottiglia, si rischia di spendere tantissimo per ottenere pochissimo.
Il ponte aziendale: progetti spettacolari che ignorano i problemi veri
Ogni settimana incontro aziende che mi raccontano con orgoglio del loro “grande progetto”.
Un nuovo gestionale, un macchinario di ultima generazione, un e-commerce all’avanguardia. E ogni volta la mia prima domanda è la stessa: “Ok, ma questo risolve davvero il problema che vi sta rallentando oggi?”
Troppo spesso la risposta, anche se non viene detta apertamente, è “no”.
Perché la priorità non è stata stabilita in base a un’analisi oggettiva dei bisogni, ma su mode, pressioni interne o volontà di fare “bella figura” davanti a fornitori e clienti.
Proprio come il Ponte sullo Stretto, il nuovo progetto finisce per essere una vetrina: qualcosa che colpisce l’occhio, ma che non migliora la produttività, non aumenta il fatturato, non riduce i costi.
Questa “malattia” aziendale si manifesta in modi diversi:
- si acquistano software complessi quando le procedure interne sono un caos;
- si investe in marketing massiccio quando il prodotto non è pronto o non ha un target definito;
- si implementano sistemi costosi quando la formazione del personale è inesistente.
Il problema è che ogni decisione strategica ha un costo, e se quel costo viene assorbito senza generare ritorno, non solo si perde denaro, ma si crea anche sfiducia interna.
I dipendenti iniziano a pensare che le scelte siano casuali, i fornitori percepiscono mancanza di direzione e i clienti avvertono incoerenza.
Proprio come un ponte costruito su una sponda di terra instabile, questi progetti aziendali rischiano di crollare.
E quando crollano, fanno danni ben più grandi del budget sprecato: minano la credibilità e la capacità di ripartire.
Prima sistemare le strade, poi costruire il ponte
L’alternativa esiste, ed è molto più sensata: partire dalle fondamenta.
Prima di pensare al “ponte” – sia esso un mega-progetto infrastrutturale o aziendale – serve assicurarsi che il terreno sia solido.
In un’azienda, questo significa:
- analizzare i processi per individuare dove si perde tempo e denaro;
- risolvere i problemi operativi che bloccano la produttività;
- formare il personale perché sappia sfruttare gli strumenti esistenti;
- solo dopo, introdurre nuove tecnologie o grandi investimenti.
Quando si lavora in questo modo, ogni passo costruisce valore.
Non ci sono “ponti fantasma” che restano scollegati dal resto dell’infrastruttura aziendale.
Ogni investimento è integrato e produce benefici reali.
Il paradosso è che questo approccio, pur essendo più logico e sostenibile, è meno “spettacolare” agli occhi di chi cerca visibilità immediata.
Non ci sono tagli del nastro o comunicati stampa eclatanti, ma ci sono risultati misurabili: margini che migliorano, clienti più soddisfatti, dipendenti più motivati.
E quando alla fine arriva il momento di costruire il “ponte”, allora sì che diventa un’opera utile: collega due sponde solide, supporta traffico reale e crea opportunità.
È così che si costruisce un futuro duraturo, sia per una regione che per un’azienda.